Approfondimenti e curiosità La compagnia del Cappelletto La Compagnia del Cappelletto è un'importante compagnia di ventura formata prevalentemente da mercenari italiani, che operò nel XIV sec. in Italia. Era conosciuta anche con il nome di Compagnia Nera, venne fondata nell'agosto del 1362 ad Ossaia, da Niccolò da Montefeltro insieme ad alcuni venturieri che erano al servizio del comune di Firenze, dissidenti nei confronti del loro capitano. Il nome dato alla compagnia trasse origine dall'episodio che accadde in seguito alla presa del paese di Peccioli, in cui i venturieri in segno di protesta verso i fiorentini per il mancato raddoppio delle paghe, posero i loro cappelletti sulla lancia. Fu la prima compagnia di ventura ad essere formata da venturieri italiani; alla sua nascita, la Compagnia del Cappelletto capeggiata da Niccolò da Montefeltro, ebbe a disposizione circa 1000 cavalieri (italiani, borgognoni e tedeschi), vi affluirono poi numerosi altri condottieri. Nel 1363, fu al servizio di Firenze, per la quale guerreggiò contro Pisa e Siena, devastando e depredando tutte le località attraversate. Dopo alcune sconfitte la compagnia ne uscì distrutta e dispersa e molti poi furono i fuoriusciti. Nel 1365, la compagnia venne sciolta perché da tempo inattiva e confluì nella Compagnia di San Giorgio, e lottando contro Firenze, Siena e lo Stato della Chiesa. Braccio Fortebraccio da Montone, capitano di ventura e Signore di Perugia La vita e le imprese di Braccio si inseriscono in quel clima di contese, intrighi e lotte di potere che coinvolse le città dell'Umbria tra Medioevo e primo Rinascimento, cui spietatezza, sagacia militare, coraggio e spirito di avventura erano indispensabili al successo, e prima ancora alla sopravvivenza. Partito con pochi uomini, in appena un quarto di secolo, Braccio divenne Signore di Perugia e di un vasto territorio che comprendeva quasi tutta l'Umbria e parte delle Marche, dell'Abruzzo e del Lazio, arrivando a Nord a Bologna. L'idea che arrovellava la testa del Capitano era quella della creazione di uno stato dell'Italia Centrale staccato dal potere Pontificio riducendo sempre più i confini della Chiesa ed al tempo stesso divenendone egli signore. Con le sue gesta tra realtà e leggenda, Braccio seppe crearsi intorno un'aura di timore e rispetto. La sua durevole fama di uomo audace, astuto, crudele e ambizioso, arrivò persino al Manzoni che nella tragedia "Il conte di Carmagnola" (1816) lo ricorda col verso: "per tutto ancora con maraviglia e con terror si noma". |
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